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Foto Cristian Ortobelli: Veduta aerea dell'università a Bizzozero
Individuare la presenza del morbo prima che ne siano evidenti i segni e, dunque, cercare di rallentare la sua progressione.
La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza nelle persone anziane: colpisce circa il 6 per cento delle persone con età maggiore di 60 anni e circa il 20 per cento degli ultraottantenni. Ad oggi la diagnosi richiede diverse valutazioni, ed è possibile farla solo quando i sintomi della malattia sono già evidenti. Purtroppo però è noto che l’Alzheimer decorre sotto traccia, in maniera asintomatica, già da alcuni anni prima di manifestarsi. Lo sforzo per l’individuazione di nuovi indicatori della malattia, facilmente valutabili con un esame del sangue, è utile non solo per contribuire alla diagnosi ma anche, se identificabili già nelle fasi molto precoci della malattia, per intervenire con trattamenti che mirati alla sua progressione.
Il team dell’Università dell’Insubria è formato da Luciano Piubelli e Silvia Sacchi, componenti del laboratorio «The Protein Factory 2.0», guidato da Loredano Pollegioni del Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita. Poi ci sono due docenti Insubria e medici dell’Ospedale di Circolo di Varese: Marco Mauri dell’Unità di Neurologia e Stroke Unit e Maurizio Versino, direttore della stessa Unità. E le due dottorande dell’ateneo Lucia Princiotta-Cariddi, che è anche neurologa dell’Asst dei Sette Laghi, e Valentina Rabattoni.
La ricerca è stata condotta utilizzando la metodica di analisi nota come HPLC chirale (acronimo di High Performance Liquid Chromatography: cromatografia liquida ad elevata prestazione), una tecnica molto sensibile e accurata che consente di dosare quantità molto piccole degli amminoacidi di interesse presenti nel campione (fino a pochi milionesimi di grammo per millilitro) e di distinguere molecole con la stessa composizione ma con una proprietà specifica diversa, la chiralità. Queste analisi sofisticate sono permesse dalla disponibilità, nel laboratorio The Protein Factory 2.0, di enzimi selettivi usati per validare i dati sperimentali.
Spiega il professor Luciano Piubelli: «È noto da tempo che nella malattia di Alzheimer viene alterata la neurotrasmissione, cioè lo scambio di molecole tra cellule del cervello, mediata dalla D-serina, un particolare amminoacido, i cui livelli sono differenti in particolari zone del cervello dei malati di Alzheimer rispetto ad individui sani. I risultati di questo studio confermano che anche nel siero dei pazienti affetti da Alzheimer i livelli di questo amminoacido sono maggiori già ad uno stadio di demenza lieve o moderata e possono quindi costituire un valido indicatore facilmente rilevabile per la diagnosi di questa malattia. Inoltre, l’incremento dei livelli di D-serina è maggiore negli stadi più avanzati della malattia».
Specifica il professor Loredano Pollegioni: «La ricerca non è terminata: il prossimo obiettivo sarà verificare se l’alterazione dei livelli sierici di D-serina sia già riscontrabile in stadi della patologia in cui attualmente la diagnosi è ancora dubbia e se questa alterazione è effettivamente un tratto distintivo dell’Alzheimer rispetto ad altri tipi di demenza senile. Quest’ultimo aspetto sarebbe d’aiuto nell’effettuare una diagnosi differenziale dei diversi tipi di demenza e nel comprendere i diversi meccanismi patologici che stanno alla base della loro insorgenza».
Riferimento bibliografico: Piubelli L., Pollegioni L., Rabattoni V., Mauri M., Princiotta-Cariddi L., Versino M., Sacchi S. Serum D-serine levels are altered in early phases of Alzheimer’s disease: towards a precocious biomarker. Transl. Psych. (2021) 11:77. https://www.nature.com/articles/s41398-021-01202-3
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