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Uno studio della Rete delle università per lo sviluppo sostenibile ha analizzato il comportamento di 85mila persone, di cui tremila della provincia di Varese.
Questo e molti altri dati sono contenuti nel rapporto preliminare, relativo a 44 università, dell’«Indagine nazionale sulla mobilità casa-università al tempo del Covid-19» di cui l’Insubria è tra i promotori insieme all’Università Bicocca e dall’Università di Torino, con il patrocinio della Crui, la conferenza nazionale dei rettori. L’indagine, avviata lo scorso luglio, si è basata su un questionario proposto on-line alla popolazione universitaria degli atenei italiani aderenti alla Rus; le risposte riguardano soprattutto studenti (il 79 per cento), ma anche docenti (11 per cento) e personale tecnico-amministrativo (9,6 per cento). Due gli scenari ipotizzati: il virus è pressoché debellato e i contagi sono ridotti; il virus è ancora pericoloso, il contagio è rallentato ma prosegue.
I dati emersi all’Università dell’Insubria, che ha segnato una partecipazione tra le più alte, sono in linea con quelli nazionali e regionali. Alla domanda sulla frequenza in università post-lockdown il 68 per cento delle persone ha risposto che continuerà ad andarci come prima del Covid, per ragioni di lavoro o di studio, se il rischio sanitario sarà minimo. Scenario che cambia totalmente in caso di un quadro più pessimistico: se il virus tornasse ad aggredire come nei mesi scorsi, il 56% per cento delle persone intervistate si recherebbe nel proprio ateneo solo quando strettamente necessario.
Per quanto riguarda i cambiamenti di abitudine negli spostamenti, emerge che solo il 16% cambierà mezzo di trasporto nello scenario ottimistico o il 29% in quello più pessimistico e chi lo farà privilegerà i mezzi di trasporto individuale: auto o bici o altra forma di mobilità attiva (monopattino elettrico, a piedi). Secondo le previsioni, in uno scenario di ridotto rischio sanitario, la domanda verso il trasporto pubblico si riduce di soli tre punti percentuali, ma il calo diventa ben più significativo (-10 per cento) nello scenario più pessimistico.
I possibili cambiamenti di abitudine riguardano anche il domicilio e gli orari di svolgimento delle attività di studio e lavorative. L’80% degli studenti sarebbe disponibile a trasferirsi in un domicilio più vicino all’università per ridurre gli spostamenti. Al fine di evitare l’eccessiva concentrazione di persone che si spostano contemporaneamente, il 59% sarebbe disponibile a frequentare le lezioni anche in fasce serali o, in minoranza, il sabato; tale percentuale sale al 65% nello scenario più pessimistico. E la disponibilità allo smart working da parte del personale tecnico-amministrativo sale alle stelle, con percentuali pari all’89% o il 94% rispettivamente nello scenario ottimistico e pessimistico.
Per l’Insubria ha coordinato l’indagine Elena Maggi, delegata del rettore Angelo Tagliabue per lo sviluppo sostenibile: «Dobbiamo fare tesoro delle informazioni raccolte per promuovere politiche di mobilità volte ad evitare che la paura sanitaria renda le strade urbane sempre più congestionate e le nostre città sempre più inquinate. I risultati locali, in linea con quelli nazionali, confermano che servono adeguate politiche di incentivazione della mobilità attiva e del trasporto pubblico, con opportune misure di sicurezza, desincronizzazione degli orari e smart working».
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