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La facciata di Casa San Carlo con la caratteristica meridiana
Approfondimento del Vangelo di domenica 17 febbraio a cura di don Marco Casale.
Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 15 febbraio 2019:
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LA PAROLA IN MEZZO A NOI Il racconto della guarigione dei dieci lebbrosi ci dice che Gesù è attento non solo alla guarigione del corpo, ma alla guarigione di tutta la persona, che ha bisogno della salute del corpo ma anche della relazione con l’altro; ha bisogno di non sentirsi esclusa dal rapporto con gli altri, di non sentirsi esclusa dal vivere sociale. Gesù, allora, guarisce questi dieci lebbrosi e poi li manda dai sacerdoti perché attestino la loro guarigione e li riammettano nel vivere sociale, permettendogli di rientrare nel villaggio – ai lebbrosi, infatti, era vietato entrare nelle città e nei villaggi perché si aveva paura del contagio. Gesù sa che non basta la guarigione fisica dalla malattia della lebbra: occorre anche guarire questa malattia sociale che è l’esclusione, l’emarginare gli altri per paura, il lasciarli fuori dal circuito del vivere sociale per paura. Questa guarigione Gesù la opera nei confronti di tutti e dieci questi lebbrosi però uno solo torna a ringraziare e a lodare Dio per la guarigione ottenuta. Ecco che Gesù subito annota questo fatto: “Dove sono gli altri nove?” La gratitudine, la capacità di dire grazie, sembra dire Gesù, è rara tra gli uomini! Sembra che gli uomini considerino ciò che ricevono in dono tutto dovuto e quindi non sentono il bisogno di ringraziare! La mancanza di gratitudine amareggia Gesù: “Possibile? Dove sono tutti gli altri?” Gesù non si sottrae dal prendersi cura di tutti, anche degli ingrati. Questo dice la grandezza del cuore di Gesù. Lui beneficia tutti, anche quelli che non lo lodano, non lo riconoscono, non credono in lui, non ringraziano, non sono riconoscenti. La magnanimità di Gesù, la sua misericordia trova, dall’altra parte, l’ingratitudine dell’uomo! Una prima caratteristica che emerge, quindi, è che Gesù, nonostante l’ingratitudine, non smette di essere misericordioso e di prendersi cura delle infermità dell’uomo. Qualche cosa anche noi possiamo impararla: se io aiuto solo colui che mi restituisce, solo colui che poi ringrazia e che, magari, mi dà il contraccambio, che cosa faccio di diverso rispetto a tutti gli altri uomini? Tutti gli uomini, se fanno qualcosa per gli altri si aspettano il contraccambio, in un rapporto di dare ed avere, ma la peculiarità del cristiano è questa: Dare non per quello che si ha o che si riceve in cambio ma il dare per la gioia di donare “c’è più gioia nel dare che nel ricevere!” Ti do non perché tu poi mi restituisci ma ti do perché per me è bello donare! Così fa Gesù e così invita anche noi a fare! Un’altra caratteristica che emerge, allora, è questa capacità e volontà inclusiva di Gesù. Gesù non vuole che qualcuno rimanga fuori, escluso, dimenticato, emarginato. Oggi, in questa giornata, nelle parrocchie della città vogliamo parlare della casa della carità che è sostenuta proprio dalle parrocchie e che come responsabile della Caritas seguo in prima persona. Nella casa della carità noi accogliamo proprio gli emarginati. Ci sono, nella nostra società, delle persone che è come se fossero invisibili, tante persone che non hanno una fissa dimora, i cosìddetti ”senzatetto” che vivono in case abbandonate, in strada, sotto qualche portico. Non si vedono, se uno proprio non si imbatte in loro: sono come invisibili finché non ti imbatti in loro perché, magari, ti cercano una moneta, altrimenti non te ne accorgi. Cosa farebbe Gesù oggi? Andrebbe a cercarli per riportarli dentro nel vivere sociale. Sono persone che, a volte, hanno fatto tutto un percorso di uscita dal vivere sociale fino al punto che, non essendo più reperibili presso una abitazione, il Comune li ha tolti dall’anagrafe quindi sono invisibili anche lì. Non ci sono! Gesù, quindi, guarendo questi lebbrosi si fa vicino a questi invisibili, a queste persone che la società non vede, non considera, come se fossero fantasmi, e vuole creare per loro un percorso di inclusione. La casa della carità, allora, nel suo far mangiare le persone, nel vestirle, nel fargli fare la doccia, la visita medica, nel dare loro i farmaci di cui hanno bisogno, nel distribuire loro gli alimenti attraverso l’emporio, compie una serie di azioni che hanno un unico fine: Restituire alla persona la sua dignità di persona e avviarlo verso un percorso di inclusione sociale, riportalo dentro nel vivere con gli altri. Lo si fa perché? Per senso di umanità, si, ma non soltanto per questo, per la soddisfazione di aver aiutato qualcuno ad uscire dalla sua situazione di povertà. Quando ci si riesce è davvero una enorme soddisfazione però, come casa della carità, voluta dalle parrocchie, non dimentichiamo che il motivo fondamentale per cui lo facciamo è perché Gesù lo faceva e perché Lui ci ha insegnato a farlo! La storia di questi lebbrosi è la storia di tanti emarginati riportati dentro il vivere sociale, facendoli uscire dalla loro condizione di marginalità. Il Signore ci faccia sentire tutti responsabili di questa importante azione ad imitazione di Gesù nostro Maestro. Don Marco Casale |
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Leggi anche: La Parola in mezzo a noi 10 febbraio 2019
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